Lo scorso agosto l’Algeria ha interrotto le relazioni – già ai minimi livelli – con il Marocco, giustificando tale scelta come una risposta alle “azioni ostili” di Rabat. L’aggravarsi della tensione tra i due paesi ha chiarito ulteriormente, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’incertezza che regna nella regione: dalla crisi libica a quella tunisina, dai problemi di al-Sisi in Egitto al tracollo dell’Islam politico nell’intera area. A dire il vero, la decisione algerina di interrompere i rapporti con il Marocco è per molti versi un non-evento, poiché le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono state congelate per la maggior parte degli ultimi 27 anni. La novità sta nello stop della fornitura di idrocarburi: Algeri avrebbe deciso di smettere di fornire gas naturale a Rabat, attraverso il gasdotto Maghreb-Europe Gas (Meg) che collega il paese nordafricano alla Spagna, dal prossimo 1° novembre.
Nelle scorse settimane le tensioni tra Algeria e Marocco hanno raggiunto un livello mai visto da anni, anche se uno scontro militare ad oggi rimane improbabile. Entrambi i governi hanno aumentato la loro presenza militare lungo il confine e, sebbene le prospettive di conflitto siano basse, la crescente tensione fornisce a entrambi i paesi un buon motivo per distrarre l’opinione pubblica e internazionale dalle questioni interne. In effetti, la sfida più grande per la leadership militare algerina è rimasta quella di convincere la popolazione che il Marocco è una minaccia maggiore per il loro benessere rispetto alle sfide economiche, politiche e di sicurezza interne. L’avversione e il sospetto nei confronti del Regno marocchino da parte dell’esercito algerino e dell’élite al potere è profonda e risale al conflitto di confine degli anni Sessanta. La “guerra delle sabbie” fu combattuta nel settembre-ottobre del 1963, a causa di un contenzioso territoriale sorto tra i due Stati, in particolare per le zone di frontiera di Béchar e Tindouf. Tra i fattori che contribuirono allo scoppio di quella guerra occorre segnalare l’assenza di una precisa definizione del confine, la scoperta della presenza di importanti risorse naturali nella zona contesa e un sentimento di irredentismo diffuso nella società marocchina, incarnato dall’ideale del “Grande Marocco” portato avanti dal partito indipendentista di Allal al-Fasi. I due paesi raggiunsero un cessate il fuoco dopo l’intervento della Lega Araba e dell’Organizzazione per l’Unità Africana, ma la guerra ebbe un profondo impatto sulle successive relazioni bilaterali. Anche se i vecchi timori algerini sui progetti espansionistici di Rabat non paiono oggi credibili, rimane alta la preoccupazione delle alte sfere militari del paese guidato da Abdelmadjid Tebboune.
Dietro questa lunga storia di relazioni poco amichevoli si nascondono conflitti di natura ideologica e di competizione per l’influenza regionale. A ciò va aggiunta anche la disputa per la demarcazione territoriale che vede protagonisti il Marocco e il Fronte Polisario per il controllo sul Sahara Occidentale. In tale conflitto, Algeri ha per lungo tempo sostenuto il Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro nella sua lotta per l’autodeterminazione contro il Marocco. La frontiera terrestre tra i due paesi è stata ufficialmente chiusa dal 1994: una decisione presa unilateralmente dall’Algeria a seguito delle insinuazioni marocchine che accusavano l’esercito algerino di aver avuto un ruolo nell’attacco terroristico a Marrakesh nel 1994, dove persero la vita due turisti spagnoli. La leadership del Marocco, tra cui lo stesso re Mohammed VI, il 30 luglio scorso ha sollecitato la riapertura del confine in più occasioni, cosa che è stata rifiutata dalla controparte algerina: il presidente Tebboune ha sempre negato la ricezione di qualsiasi proposta positiva per una riappacificazione tra i due paesi alla luce del continuo conflitto per il Sahara Occidentale e non solo. Tuttavia, nel recente passato, i due paesi maghrebini sono riusciti a trovare strade limitate per una cooperazione attorno al gasdotto che trasporta l’aeriforme algerino attraverso il Marocco verso la Spagna e altri mercati europei. Proprio tale accordo rischia di non avere futuro dal prossimo novembre. L’accordo sul Meg, che ha iniziato la sua attività nel 1996 al fine di rifornire Spagna e Portogallo passando per il Marocco (che trattiene il 7% del gas trasportato), è in scadenza in questi giorni e si rincorrono le voci di un possibile fallimento del rinnovo che priverebbe Rabat di una fondamentale fonte di energia. L’Algeria continuerà a rifornire la Spagna utilizzando il gasdotto sottomarino Medgaz con una capacità annua di 8 miliardi di metri cubi (nettamente inferiore rispetto ai 13,5 del Meg). Nonostante ciò, Algeri si priverebbe di un’importante fonte di reddito e Spagna e Portogallo dovrebbero compensare le carenze energetiche ottenendo gas da un fornitore diverso.
Alcuni eventi degli ultimi anni contribuito a incendiare ancora di più la situazione. Il riconoscimento statunitense della sovranità marocchina sul Sahara occidentale ha inferto un duro colpo agli sforzi algerini per mantenere il Marocco isolato sulla questione. Sebbene il conflitto non sia affatto risolto, il riconoscimento di Washington è una grande vittoria per il Marocco e quindi, in questo gioco a somma zero, una sconfitta per il Fronte Polisario. L’Algeria è anche estremamente diffidente nei confronti della crescente cooperazione israelo-marocchina. Algeri rimane un convinto sostenitore ideologico della causa palestinese ed è stata estremamente critica nei confronti della decisione di Rabat di normalizzare le relazioni con Gerusalemme. In aggiunta, il presunto coinvolgimento del Marocco nello scandalo dello spyware Pegasus ha provocato condanne e accuse di spionaggio nei confronti di funzionari e alti vertici militari algerini. Per completare la serie di “atti ostili” condannati dal governo algerino, bisogna aggiungere all’elenco altre questioni. La scelta del Parlamento marocchino a inizio 2020 di votare due leggi, una delle quali delimita la giurisdizione del Marocco sul suo demanio marittimo, mentre l’altra prevede la creazione di una zona economica speciale che si estende per 200 miglia nautiche al largo delle coste marocchine. Ciò ha provocato l’indignazione di Spagna, Algeria e Fronte Polisario. Ancora, nel novembre 2020 il Marocco è intervenuto militarmente a Guerguerat (zona al confine tra il Sahara occidentale e la Mauritania), in risposta a un’incursione di militanti del Polisario; un atto che Algeria e Fronte Polisario hanno considerato come una violazione del cessate il fuoco del 1991 firmato sotto gli auspici delle Nazioni unite dopo sedici anni di conflitto armato tra Rabat e il movimento indipendentista. Ancora, gli sforzi diplomatici algerini per impedire l’adesione di Israele all’Unione africana come membro osservatore, che si scontra con la posizione di Rabat. Infine, il sostegno marocchino alle richieste separatiste del Movimento per l’indipendenza della Cabilia (Mak) che Algeri classifica come organizzazione terroristica.
L’Algeria sta diventando sempre più ansiosa di riaffermarsi come potenza regionale dopo alcuni anni di disordini interni e una lunga assenza dalle questioni regionali. Tagliare i legami con il Marocco significa tracciare una linea definitiva, nonché uno sforzo per distogliere l’attenzione del popolo dai problemi domestici e concentrare tutto contro un nemico esterno. Per il Marocco, questi annosi conflitti e tensioni che desidera lasciarsi alle spalle creano una sfida alle sue ambizioni domestiche ed estere. Una tensione così alta potrebbe, evidentemente, avere delle ripercussioni sulle relazioni con alcuni partner. Il Marocco è un mercato chiave per la Francia e un perno utile per stabilire l’influenza economica, politica e culturale francese negli Stati africani postcoloniali. A meno che Parigi non riducesse la protezione diplomatica nei confronti di Rabat presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, la pace nella regione rimarrebbe appesa a un filo. Gli interessi economici della Spagna in Marocco, insieme al forte sostegno dell’opinione pubblica spagnola al movimento indipendentista saharawi, hanno spinto Madrid a rimanere neutrale nell’attuale situazione. Tuttavia, il permesso concesso dal governo spagnolo al leader del Polisario Brahim Ghali di essere ricoverato in un ospedale a Ceuta è stato etichettato da Rabat come un “atto sconsiderato e totalmente inaccettabile”. Inoltre, il Marocco continua a rivendicare i territori di Ceuta e Melilla.
Ma la posizione ambigua di Washington è una dei principali motivi che minacciano di intensificare le tensioni. La convinzione statunitense che “uno Stato Saharawi indipendente non è un’opzione realistica” non dovrebbe giustificare la non risoluzione della controversia poiché il suo riconoscimento non influisce sulla posizione dell’Onu, dell’Ue e degli altri paesi che riconoscono la proclamata Repubblica Araba Saharawi Democratica del Polisario (Rasd). A ciò si aggiunge il riconoscimento ricevuto il mese scorso dalla Corte di giustizia europea che ha stabilito come il Fronte Polisario sia “riconosciuto a livello internazionale come rappresentante del popolo del Sahara occidentale” e che il territorio non appartiene al Marocco. La Corte ha respinto gli sforzi del Consiglio dell’Ue e della Commissione europea – responsabili delle relazioni commerciali dell’Ue – per estendere le disposizioni dell’accordo Ue-Marocco sulle preferenze tariffarie ai prodotti agricoli provenienti da questo paese e quelle relative alla pesca sostenibile al territorio del Sahara occidentale. Il verdetto avrà implicazioni di vasta portata per le relazioni dell’Ue con il paese maghrebino e plasmerà il suo coinvolgimento nel più ampio conflitto tra il Marocco e il Fronte Polisario. La notizia non è stata percepita come una novità in termini assoluti. Nel 2018, la stessa Corte ha stabilito che l’accordo sull’aviazione dell’Ue con Rabat non copriva il Sahara occidentale, lasciando i vettori europei all’interno di un vuoto normativo. Gli sforzi sostenuti dalla Commissione e dal Consiglio per reprimere l’autodeterminazione dei Saharawi hanno avuto un impatto negativo sulle prospettive di risoluzione del conflitto nel Sahara occidentale, amplificando le dinamiche negative che hanno portato al fallimento dei passati tentativi di pacificazione.
Dietro le scelte di Algeri probabilmente si cela la difficile situazione interna del governo algerino. È un governo impopolare e ritenuto autocratico, nonostante la conferma alle scorse elezioni, che ha affrontato le proteste di massa dell’opposizione Hirak e di altri movimenti sociali negli ultimi due anni; oggi presiede un’economia in forte declino con poche prospettive di ripresa a breve termine. Ironia della sorte, mantenere chiusi i confini con il Marocco potrebbe probabilmente proteggere l’economia algerina più debole e più statalista dalla concorrenza, anche se priverebbe la popolazione locale di opportunità di commercio, importazioni a basso costo e occupazione. Cercare di deviare l’insoddisfazione popolare spostando l’attenzione su capri espiatori stranieri è una tecnica antica ma collaudata.
Quanto al ruolo del Marocco in questa situazione, è più una questione di messaggi contrastanti che di provocazioni intenzionali. Il discorso di fine luglio di Re Mohammed VI è stato particolarmente conciliante nei confronti dell’Algeria. Quel messaggio, tuttavia, è stato minato da quello successivo dell’ambasciatore del Marocco presso le Nazioni unite, che improvvisamente si è espresso a favore dell’autodeterminazione per il popolo Cabili. Questo sembra aver fornito l’ultima goccia per far traboccare il vaso. La rottura diplomatica algerino-marocchina è motivo di preoccupazione, ma non di grande allarme. Molto probabilmente la situazione non sarà risolta facilmente e in tempi brevi, ma quasi certamente rimarrà confinata nella sfera del grigio simbolismo politico.
Mario Savina